La sentenza della Corte Costituzionale sul blocco degli stipendi della PA è un punto di non ritorno e per i sindacati è una vittoria di Pirro.
Il blocco coattivo dell'innalzamento degli stipendi del pubblico impiego, stabilito nel 2010 dal governo Berlusconi per oltre 3 milioni di impiegati pubblici, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, ma superiori esigenze di equilibrio finanziario (l'art. 81 della Costituzione) ne ha paralizzato gli effetti: la sentenza della Corte sarà, infatti, efficace solo con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza.
Ne consegue che i 35 miliardi di euro stimati dall'Avvocatura dello Stato come diritti economici maturati in questi anni dai pubblici impiegati sono carta straccia, diritti che - in nome dell'equilibrio finanziario - sono stati cancellati: è la negazione di uno Stato di diritto.
La sentenza, oltre a costituire un palese dietrofront rispetto al recente pronunciamento che aveva spazzato via lo stop all'indicizzazione delle pensioni (della riforma Fornero), contiene in sè una insidiosa tecnica legislativa: d'ora in avanti il legislatore, in nome dell' equilibrio finanziario, sarà legittimato a fare terra bruciata dei diritti costituzionalmente garantiti che saranno solo poi, eventualmente, ripristinati con effetti che si produrranno per l'avvenire.
I rappresentanti sindacali hanno ben poco di che rallegrarsi: l'ingiustizia nei confronti dei dipendenti pubblici è stata di fatto consumata per il passato e per l'avvenire ... si vedrà.
Dico e lo sottolineo perchè l'incostituzionalità è stata dichiarata dalla Corte "sopravvenuta", rispetto alle (mutate ?) esigenze di cassa del Governo in un dato momento storico, dal quale - per l'appunto - la Corte ha fatto decorrere gli effetti (sacrificando così i diritti per il passato in nome del pareggio di bilancio).
Ne consegue che il riconoscimento dei diritti economici spettanti ai pubblici impiegati deve coniugarsi con le esigenze di conti dello Stato, con quel sacro dogma europeo di equilibrio finanziario che ne stabilisce la compatibilità economica e dunque la loro "liquidazione" o sacrificio, come nel caso de quo.
Recependo così le "avvertenze" formulate dal ministro dell'Economia sull'indicizzazione delle pensioni (riforma Fornero), la Corte si è resa garante dei diritti in chiave meramente contabile.
Le esigenze di cassa hanno il sopravvento sui diritti.
E' un principio pericolosissimo perchè, senza distinzioni di sorta, legittima una carnecifina di diritti: debiti della P.A, stipendi e pensioni saranno subordinati all'analisi finanziaria che, per banali esigenze ragioneristiche, si traducono in quel saldo finanziario uguale a zero.
E' evidente che se lo Stato può spendere in funzione delle sue entrate, giocoforza impoverisce e distrugge il sistema economico; ma non basta: d'ora in avanti il legislatore sarà autorizzato ad operare anche in palese violazione dei diritti, in attesa di una sentenza che farà sì giustizia, ma che sconterà - poi - il sacro dogma del pareggio di bilancio, facendo salvi - in ogni caso - gli effetti del "furto" perpetrato.
Si salvi chi può: è l'inizio della fine.
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