Non c'è che dire: il piano d'acquisto dei titoli annunciato ieri da Draghi è un autentico capolavoro di imbroglio, ordito con la complicità di un sistema d'informazione servo che inquina più che mai l'analisi economica.
Cerco di esaminare brevemente la manovra i cui dettagli sono qui.
Dal punto di vista quantitativo, l'operazione misura appena 1,140 miliardi di Euro ed ha la pretesa di alzare il tasso d'inflazione (ora in territorio negativo) al 2%. Vale la pena qui solo ricordare che la FED intraprese una misura di 4000 mld. di $ e non c'è riuscita (qui i dati).
Anche dal punto di vista terminologico, la definizione dell'intevento della BCE come un quantitative easing è un imbroglio, perchè fa credere che la BCE abbia fatto un passo avanti che la parifica alla FED americana.
Niente di più falso, c'è una differenza abissale con la FED che persegue un mandato "duale", che impone la simultanea e parificata realizzazione di due obiettivi: stabilità dei prezzi e la massima occupazione, che alla BCE, di fatto, non compete.
Secondariamente la FED non fissa alcuna condizionalità nel piano dei suoi interventi: acquista indistintamente tutti i titoli che occorrono per realizzare quel mandato istituzionale che, semestralmente, ha l'obbligo di rendicontare in un'apposita seduta davanti al Senato americano.
D'altro canto, là lo Stato è unico e il debito è unificato.
In Europa, invece, dove non esiste uno Stato, ma una mostruosità irriformabile, con 18 diversi debiti, la BCE, in forza della sua "indipendenza", non ha alcun obbligo di rendicontazione nei confronti di nessun organo, ma - semmai - agisce in funzione di quelle oligarchie finanziarie che dettano al suo interno le regole delle politiche monetarie.
E ieri Draghi ha messo in luce questa ulteriorità diversità del suo mandato operativo, che riguarda la diversa monetizzazione del debito che banche centrali come la FED, la Bank of Japan, la Bank of England intraprendono nell' integralità, e che la BCE - da ora in avanti - scarica per l' 80% sui bilancia delle banche nazionali.
Il meccanismo d'acquisto, infatti, avverrà in base alle quote capitale detenute da ciascuno Stato membro (c.d. Capital Keys) Questo significa che il principale beneficiario dell'operazione messa in campo sarà ... udite udite ... la Germania .
A ciò si devono aggiungere le massime soglie d'acquisto: la BCE non potrà acquistare più del 25% di ogni emissione e il 33% delle emissioni di ciascuno Stato.
In più, la ciliegina sulla tortà è la diversa condivisione dei rischi (vera anomalia della BCE in alcun modo riscontrabile nella FED).
Questo significa, in particolare, che l'80% della "copertura" dei nostri BTP dovrà essere garantita dalla nostra Banca d'Italia che dovrà attingere alle proprie riserve. per rendere liquidi i titoli di stato nazionali.
A questo punto sorge davvero spontanea una domanda: per quale ragione dovremmo ostinarci a usare una valuta che, nell'imporci l'osservanza di assurde regole (il c.d. vincolo esterno), ci costringe anche ad un meccanismo per cui l'Italia deve comprare la liquidità con le le proprie risorse (auree e prelievi forzosi su c/c ? ).
La "demutualizzazione" del rischo è stato l'autentico capolavoro di Draghi che ha così accondisceso le richieste della Germania, la quale ha dimenticato d'aver beneficiato della condivisione del rischio all'indomani del crack Lehman, quando le sue banche si trovarono in forte difficoltà.
Ora che le difficoltà son patologicamente diffuse su scala europea, la condivisione del rischio sparisce con un colpo di bacchetta magica.
Gli effetti di questa scelta saranno quelli di divaricare ancor di più la competitività della Germania che, in base all'operazione di liquidità, beneficierà di un euro più debole su scala extra-UE. In Europa accentuerà le politiche mercantiliste di colonialismo, sempre più vocato alle esportazioni, che ora troveranno il facile "puntello" di un maggior potere d'acquisto dei paesi economicamente più fragili, sottoposti ai duri colpi di quelle riforme strutturali, (cui è subordinato il piano di liquidità), sinonimo di abbattimento dei salari, a favore di una competitività estrema che seminerà distruzione e miseria.
Statene certi: a noi non tornerà nulla: l'opera di salvataggio dell'euro sarà a nostre spese: pagheremo il prezzo di una rivoluzione mancata e di un ritardo culturale sempre più incolmabile.
La nostra rinascita non è possibile senza la riconquista della nostra sovranità
venerdì 23 gennaio 2015
giovedì 22 gennaio 2015
OMF e il Cilindro Magico della BCE
Sono giorni questi in cui il dibattito sembra scorrere sui binari morti di politica monetaria. Su binari morti perchè abbiamo visto che i movimenti sui tassi d'interesse con cui la banche centrali forniscono liquidità al sistema bancario, prossimi allo zero, si rivelano palesemente inefficaci a stimolare la domanda aggregata (consumi e investimenti) del settore privato (cittadini e delle aziende), che ha poca possibilità di spendere o d'investire.
Il contesto economico gravemente compromesso dagli scarsi consumi e dalla catena d'insolvenze, ha infatti generato un clima di sfiducia, per effetto della quale le stesse banche "incamerano" il danaro che non sostiene il credito alle imprese e la domanda dei consumi privati.
D'altro canto si sa: le banche prestano danaro solo quando esistono quelle condizioni economiche atte a garantire il ragionevole rientro dei finanziamenti concessi.
Si sono spesi fiumi d'inchiostro attorno al QE (Quantitative Easing o Alleggerimento Quantitativo), ossia l'acquisto da parte della banche centrali (FED e Bank of England) di titoli del Tesoro, obbligazioni societarie, mutui ipotecari, ecc., realizzato con lo scopo di abbattere i rendimenti delle attività finanziarie ed aumentarne il prezzo, e che si è rivelato piuttosto modesto e inefficace laddove si profilava un deficit di domanda e l'impossibilità di spesa o investimento delle aziende: quei soldi sono stati tesaurizzati dalle banche, che se ne sono serviti per ricapitalizzare i bilanci "stressati" da attività creditizie svolte disinvolamente e praticamente mai sono finiti nelle mani di chi doveva spenderli per rivitalizzare l'economia reale.
Il QE è uno strumento che l'Eurozona non può attivare e per limitare la crisi ha adottato altre politiche monetarie, sempre canalizzate attraverso il sistema bancario.
Si sono dapprima avviate le operazioni LTRO (Long Term Refinancing Operations) con cui la BCE ha erogato finanziamenti triennali, al tasso dell'1%, a favore delle banche europee dietro cessione dei titoli di Stato in portafoglio, ma sono state operazioni fallimentari: se da un lato, hanno tamponato la febbre degli spread, dall'altro, non hanno impattato sul settore privato, pesantemente penalizzato dalle politiche di austerità che hanno depresso consumi, redditi e risparmi dei cittadini.
Il cilindro magico di "Draghi" ha poi portato alla luce anche gli OMT (Outright Monetary Transactions), un programma finalizzato a garantire la solvibilità dei debiti sovrani dell'Eurozona, attraverso il quale la BCE ha annunciato l'illimitata disponibilità (ricorderete il c.d "whatever it takes") ad acquistare i titoli pubblici dei paesi in crisi.
Si è trattato, in verità, di un mero annuncio, che mi ha ricordato quello slogan della pubblicità della pastiglia "Falqui ... Basta la parola": effettivamente, è bastato il semplice annuncio d'intervento diretto della BCE - ancorchè condizionato all'adozione di politiche deflazionistiche - a tranquillizzare i mercati e riportare gli spread a livelli più bassi.
Non mi pare il caso, almeno in questa fase, d'approfondire quei tecnicismi che rendono particolarmente criticabile anche questa operazione. E' un fatto, tuttavia incontestabile, che il dibattito in questi anni e ancora oggi sia ruotato sulla (in-)utilità di tutti questi strumenti che, in quanto bancocentrici, hanno finora distolto l'attenzione di molti addetti ai lavori su una proposta, seria, messa in campo da Biagio Bossone, per affrontare nell'immediatezza la grave crisi in atto.
Cerco di illustrarla per sommi capi perchè ritengo che, al di là della soluzione di uscita dall'euro che ritengo fondamentale - ma la cui praticabilità richiede tempo e approfondimenti tecnici che sconfiggano i tabù dell'ignoranza, debbano essere esaminate, serenamente, anche quelle proposte che permetterebbero di affrontare fin da subito "il toro per le corna" senza infliggere quegli inutili sacrifici a popolazioni europee, già quotidianamente terrorizzate da campagne allarmistiche e disinformative.
Si tratta del Emergency Liquidity Assistance (ELA) da non confondere con l'erogazione di liquidità d'emergenza che la BCE può disporre (a titolo oneroso) a favore di singoli enti creditizi.
Si tratta di uno schema di coordinamento che può instaurarsi fra la Banca d'Italia e il Ministero del Tesoro: il c.d. OMF, overt money financing che può essere attivato bypassando la BCE e l'SEBC che conserverebbe, comunque, il diritto d'interrompere questa operazione.
Attraverso gli OMF si riconsolida il rapporto fra Ministero del Tesoro e la Banca d'Italia (ne avevo parlato qui).
In sostanza, il Governo procede nell'emissione definitiva di titoli speciali non trasferibili, vincolati a programmi di spesa e/o di riduzioni fiscali, strumentali alla ripresa della domanda aggregata e/o di riduzioni fiscali.
Questi titoli vengono sottoscritti dalla Banca d' Italia, che li contabilizza in bilancio senza collocarli suo mercato; possono essere fruttiferi - con patto di restituzione degli interessi maturati - o infruttiferi.
Nulla vieta che, a condizioni economiche mutate, con decisione separata, il governo disponga il riacquisto dalla banca centrale dei titoli speciali in cambio degli euro ricevuti,
Il contesto economico gravemente compromesso dagli scarsi consumi e dalla catena d'insolvenze, ha infatti generato un clima di sfiducia, per effetto della quale le stesse banche "incamerano" il danaro che non sostiene il credito alle imprese e la domanda dei consumi privati.
D'altro canto si sa: le banche prestano danaro solo quando esistono quelle condizioni economiche atte a garantire il ragionevole rientro dei finanziamenti concessi.
Si sono spesi fiumi d'inchiostro attorno al QE (Quantitative Easing o Alleggerimento Quantitativo), ossia l'acquisto da parte della banche centrali (FED e Bank of England) di titoli del Tesoro, obbligazioni societarie, mutui ipotecari, ecc., realizzato con lo scopo di abbattere i rendimenti delle attività finanziarie ed aumentarne il prezzo, e che si è rivelato piuttosto modesto e inefficace laddove si profilava un deficit di domanda e l'impossibilità di spesa o investimento delle aziende: quei soldi sono stati tesaurizzati dalle banche, che se ne sono serviti per ricapitalizzare i bilanci "stressati" da attività creditizie svolte disinvolamente e praticamente mai sono finiti nelle mani di chi doveva spenderli per rivitalizzare l'economia reale.
Il QE è uno strumento che l'Eurozona non può attivare e per limitare la crisi ha adottato altre politiche monetarie, sempre canalizzate attraverso il sistema bancario.
Si sono dapprima avviate le operazioni LTRO (Long Term Refinancing Operations) con cui la BCE ha erogato finanziamenti triennali, al tasso dell'1%, a favore delle banche europee dietro cessione dei titoli di Stato in portafoglio, ma sono state operazioni fallimentari: se da un lato, hanno tamponato la febbre degli spread, dall'altro, non hanno impattato sul settore privato, pesantemente penalizzato dalle politiche di austerità che hanno depresso consumi, redditi e risparmi dei cittadini.
Il cilindro magico di "Draghi" ha poi portato alla luce anche gli OMT (Outright Monetary Transactions), un programma finalizzato a garantire la solvibilità dei debiti sovrani dell'Eurozona, attraverso il quale la BCE ha annunciato l'illimitata disponibilità (ricorderete il c.d "whatever it takes") ad acquistare i titoli pubblici dei paesi in crisi.
Si è trattato, in verità, di un mero annuncio, che mi ha ricordato quello slogan della pubblicità della pastiglia "Falqui ... Basta la parola": effettivamente, è bastato il semplice annuncio d'intervento diretto della BCE - ancorchè condizionato all'adozione di politiche deflazionistiche - a tranquillizzare i mercati e riportare gli spread a livelli più bassi.
Non mi pare il caso, almeno in questa fase, d'approfondire quei tecnicismi che rendono particolarmente criticabile anche questa operazione. E' un fatto, tuttavia incontestabile, che il dibattito in questi anni e ancora oggi sia ruotato sulla (in-)utilità di tutti questi strumenti che, in quanto bancocentrici, hanno finora distolto l'attenzione di molti addetti ai lavori su una proposta, seria, messa in campo da Biagio Bossone, per affrontare nell'immediatezza la grave crisi in atto.
Cerco di illustrarla per sommi capi perchè ritengo che, al di là della soluzione di uscita dall'euro che ritengo fondamentale - ma la cui praticabilità richiede tempo e approfondimenti tecnici che sconfiggano i tabù dell'ignoranza, debbano essere esaminate, serenamente, anche quelle proposte che permetterebbero di affrontare fin da subito "il toro per le corna" senza infliggere quegli inutili sacrifici a popolazioni europee, già quotidianamente terrorizzate da campagne allarmistiche e disinformative.
Si tratta del Emergency Liquidity Assistance (ELA) da non confondere con l'erogazione di liquidità d'emergenza che la BCE può disporre (a titolo oneroso) a favore di singoli enti creditizi.
Si tratta di uno schema di coordinamento che può instaurarsi fra la Banca d'Italia e il Ministero del Tesoro: il c.d. OMF, overt money financing che può essere attivato bypassando la BCE e l'SEBC che conserverebbe, comunque, il diritto d'interrompere questa operazione.
Attraverso gli OMF si riconsolida il rapporto fra Ministero del Tesoro e la Banca d'Italia (ne avevo parlato qui).
In sostanza, il Governo procede nell'emissione definitiva di titoli speciali non trasferibili, vincolati a programmi di spesa e/o di riduzioni fiscali, strumentali alla ripresa della domanda aggregata e/o di riduzioni fiscali.
Questi titoli vengono sottoscritti dalla Banca d' Italia, che li contabilizza in bilancio senza collocarli suo mercato; possono essere fruttiferi - con patto di restituzione degli interessi maturati - o infruttiferi.
Nulla vieta che, a condizioni economiche mutate, con decisione separata, il governo disponga il riacquisto dalla banca centrale dei titoli speciali in cambio degli euro ricevuti,
L'aspetto fondamentale è che i predetti titoli sono emessi per creare moneta, non costituiscono debito pubblico e non costano nulla come interessi allo Stato.
L'operazione ricade nella pertinenza delle banche centrali (art. 14 comma 4 dello statuto BCE), non origina dalla loro appartenenza al SEBC che manterebbe in ogni caso il diritto d'interromperla e - cosa più importante - non configura
- nè violazione dell'art. 123 del Trattato di Lisbona perchè non rappresenta una forma di finanziamento del debito pubblico o concessione di scoperto,
- nè attenta all'indipendenza della BCE, che conserverebbe il potere di determinare il volume di emissione di moneta compatibile con le soglie d'inflazione da lei determinate (qui).
Ho richiamato questa proposta perché osservo come nel dibattito in corso, tra i sostenitori dell'euro non è mai seriamente emersa neppure uno straccio di politica monetaria capace di evitare le inutili sofferenze che oggi, come cittadini europei, siamo costretti a subire. C'è di che riflettere.
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sabato 17 gennaio 2015
Appello all'Unità di Antonio Maria Rinaldi e Diego Fusaro
Non posso che condividere l'appello rivolto da Antonio Maria Rinaldi e da Diego Fusaro affinchè possa emergere un fronte comune nella candidatura del prossimo Presidente della Repubblica, capace di esprimere tutte le esigenze di coloro che, nella moneta unica, hanno individuato e compreso gran parte dei problemi che stanno affliggendo in questo momento il nostro Paese.
Occorre un'azione concertata per salvare la democrazia e la dignità di questo Paese perchè le istituzioni europee impongono, attraverso la moneta unica, un unico paradigma a realtà diverse costringendole coattivamente ad un modello che nessuno ha scelto liberamente.
L'Europa è una pluralità di lingue, culture e di tradizioni; noi siamo contro la negazione di questa unione europea magnificata, che sta uccidendo i popoli, la democrazia, il lavoro e la libertà, assumendo sempre più la tetra fisionomia di lagher economico-finanziario.
E' il caso della Grecia, ridotta ad una situazione tragica e terribile, che imparando a sottostare ai diktat della Troika, mostra a tutti i popoli europei il loro futuro se permarranno all'interno della moneta unica.
Tsipras altro non è che un oppositore creato ad immagine e somiglianza del mondo finanziario, che finge di opporsi, ma in realtà è funzionale ed interno allo status quo, al dispositivo dell'Unione Europea: le riforme proposte da Tsipras infatti non mettono in discussione il sacro dogma dell'euro, ma ne corregge solo alcuni aspetti formali.
Le politiche di macelleria sociale, che ricordano nell'immaginario il Guernica di Picasso, sono state subdolamente eseguite dalla sinistra che portava con sè una sorta di legittimazione dalle classe popolari. Sono oggi le sinistre, Tsipras compreso, a portare avanti quest'opera di genocidio finanziario dei popoli, quasi come se sul grembiule rosso si vedesse meno il sangue dei popoli, dei lavoratori passati sul banco della macelleria europea.
Non esistono più destra e sinistra, ma perseguimenti di obiettivi che purtroppo non sono funzionali al popolo italiano.
La vera dicotomia è fra chi accetta supinamente questo meccanismo perverso della finanza e chi cerca di combattere in nome della libertà dei popoli; questo dispositivo ogni giorno ci sta distruggendo.
Occorre un fronte unico democratico disposto a lottare contro la dittatura economica-finanziaria invisibile.
C'è anche un grande equivoco attorno alla pretesa irreversibilità dell'euro: in realtà è il cambio, fissato a 1936,27 lire, ad essere irreversibile, ma non l'euro. Questo gioco di parole è alimentato anche dagli organi d'informazione che, come fabbrica dei consensi, creano pure confusione fra moneta unica ed Europa.
Tutto è reversibile, se si ha la volontà come soggetti collettivi di revocare ciò che è stato posto, in nome della giustizia e della libertà.
L'Unione europea oggi è una evoluzione subdola di colonialismo all'interno del continente europeo, che non ha precedenti e che trova la sua origine nella CEE che con la scusa d'introdurre il mercato unico ha presupposto una moneta unica, creando una sudditanza degli Stati mai avvenuta nella storia: il paradosso è quello d'avere ancora la parvenza di Stati nazionali le cui scelte non passano più dal suffragio universale, ma dai mercati. Non a caso la parola "democrazia" non è mai citata nei Trattati.
L'attuale configurazione europea non fa rispettare la Costituzione perchè il potere dei mercati soverchi la libetà di autodeterminazione dei popoli.
Dobbiamo riprenderci la nostra sovranità, il nostro diritto a votare, con leggi elettorali che ci consentano di votare e non scegliere persone già prescelte nelle segrete stanze delle segreterie di partito.
Solo allora riusciremo a riprenderci questo paese e soprattutto il futuro.
Occorre un'azione concertata per salvare la democrazia e la dignità di questo Paese perchè le istituzioni europee impongono, attraverso la moneta unica, un unico paradigma a realtà diverse costringendole coattivamente ad un modello che nessuno ha scelto liberamente.
L'Europa è una pluralità di lingue, culture e di tradizioni; noi siamo contro la negazione di questa unione europea magnificata, che sta uccidendo i popoli, la democrazia, il lavoro e la libertà, assumendo sempre più la tetra fisionomia di lagher economico-finanziario.
E' il caso della Grecia, ridotta ad una situazione tragica e terribile, che imparando a sottostare ai diktat della Troika, mostra a tutti i popoli europei il loro futuro se permarranno all'interno della moneta unica.
Tsipras altro non è che un oppositore creato ad immagine e somiglianza del mondo finanziario, che finge di opporsi, ma in realtà è funzionale ed interno allo status quo, al dispositivo dell'Unione Europea: le riforme proposte da Tsipras infatti non mettono in discussione il sacro dogma dell'euro, ma ne corregge solo alcuni aspetti formali.
Le politiche di macelleria sociale, che ricordano nell'immaginario il Guernica di Picasso, sono state subdolamente eseguite dalla sinistra che portava con sè una sorta di legittimazione dalle classe popolari. Sono oggi le sinistre, Tsipras compreso, a portare avanti quest'opera di genocidio finanziario dei popoli, quasi come se sul grembiule rosso si vedesse meno il sangue dei popoli, dei lavoratori passati sul banco della macelleria europea.
Non esistono più destra e sinistra, ma perseguimenti di obiettivi che purtroppo non sono funzionali al popolo italiano.
La vera dicotomia è fra chi accetta supinamente questo meccanismo perverso della finanza e chi cerca di combattere in nome della libertà dei popoli; questo dispositivo ogni giorno ci sta distruggendo.
Occorre un fronte unico democratico disposto a lottare contro la dittatura economica-finanziaria invisibile.
C'è anche un grande equivoco attorno alla pretesa irreversibilità dell'euro: in realtà è il cambio, fissato a 1936,27 lire, ad essere irreversibile, ma non l'euro. Questo gioco di parole è alimentato anche dagli organi d'informazione che, come fabbrica dei consensi, creano pure confusione fra moneta unica ed Europa.
Tutto è reversibile, se si ha la volontà come soggetti collettivi di revocare ciò che è stato posto, in nome della giustizia e della libertà.
L'Unione europea oggi è una evoluzione subdola di colonialismo all'interno del continente europeo, che non ha precedenti e che trova la sua origine nella CEE che con la scusa d'introdurre il mercato unico ha presupposto una moneta unica, creando una sudditanza degli Stati mai avvenuta nella storia: il paradosso è quello d'avere ancora la parvenza di Stati nazionali le cui scelte non passano più dal suffragio universale, ma dai mercati. Non a caso la parola "democrazia" non è mai citata nei Trattati.
L'attuale configurazione europea non fa rispettare la Costituzione perchè il potere dei mercati soverchi la libetà di autodeterminazione dei popoli.
Dobbiamo riprenderci la nostra sovranità, il nostro diritto a votare, con leggi elettorali che ci consentano di votare e non scegliere persone già prescelte nelle segrete stanze delle segreterie di partito.
Solo allora riusciremo a riprenderci questo paese e soprattutto il futuro.
mercoledì 14 gennaio 2015
Di Maio i risparmi italiani non possono rimanere in Euro in caso di Euro-exit
Caro Luigi Di Maio,
Ho ascoltato in streaming il tuo intervento in una trasmissione televisiva di alcuni giorni fa in cui hai dichiarato (a partire dal 26:01") "abbiamo spiegato tutte le variabili che ci possono essere con l'uscita dall'euro il ritorno alla nostra moneta e sotto questo punto di vista i risparmi italiani possono benissimo rimanere in euro".
E' sbagliato e la ragione è molto semplice.
A tutti i rapporti di credito e debito si applica la lex monetae, il diritto di uno Stato a scegliere la propria moneta quale strumento per la regolamentazione di tutti i rapporti economici interni che ricadono sotto la sua sovranità.
Questo significa che tutti i contratti nazionali vengono ridenominati nella nuova valuta.
Se i risparmi italiani (che lo ricordo sono debiti/passività per una banca) restassero denominati in euro, il sistema creditizio, già profondamente segnato dalle insolvenze prodotte dalla crisi, sarebbe inesorabilmente condannato al crack finanziario: la rivalutazione dell'euro rispetto alla nuova moneta (stimabile al 20%), produrrebbe un apprezzamento di pari valore del loro portafogli debiti; di conseguenza, le banche si troverebbero nell'impossibilità di rimborsare i loro risparmiatori/creditori in euro che si troverebbero in possesso di una moneta rivalutata.
Lo stesso meccanismo investirebbe, a cascata, tutti i titoli pubblici e privati (azionari, obbligazionari) con perdite significative a carico, rispettivamente, dello Stato, e delle imprese emittenti.
La conseguenza è che con la bancarotta del sistema, i risparmiatori in euro non otterrebbero più indietro i loro quattrini.
Anche ipotizzando una rimborsabilità limitata ai soli depositi inferiori ai 100 mila euro attraverso il fondo interbancario di tutela dei depositi (pari a complessivi 736 mld. di €), si metterebbe alle corde il nostro sistema bancario, non potendo più garantire quei depositi (392 mld. di €) che eccedendo il suddetto limite di garanzia sono coperti fino al massimo di tale soglia.
Se si esce dall'euro, caro di Maio, si esce tout-court convertendo TUTTI I CREDITI E I DEBITI.
Questo significa che tutti i debiti dei cittadini verso le banche (prestiti, mutui e finanziamenti), sia i debiti delle banche verso i loro clienti (quindi i depositi bancari).
I crediti dei risparmiatori dovranno essere riscossi obbligatoriamente nelle nuove lire, esattamente come i debiti dei clienti di una banca dovranno essere liquidati nelle nuove lire.
Se, per assurdo, un qualsiasi sgangherato governo "regalasse" alle banche "il diritto" di pretendere il rimborso dei mutui ancora in euro, le banche si troverebbero - presto - nell'impossibilità di riscuotere alcunchè.
Infatti, sarebbero i clienti costretti alla bancarotta perchè a seguito della rivalutazione dei portafogli crediti bancari (prestiti, mutui e finanziamenti costituiscono impieghi/attività per le banche), i mutuatari si troverebbero nell'impossibilità di rimborsare i loro debiti. Di qui altre pesanti sofferenze bancarie.
E' evidente che questo genere, ahimè sciagurato, di conversioni "parziali" finirebbe per incentivare e non certo impedire fenomeni di corse agli sportelli per il ritiro dei propri risparmi.
Ho ascoltato in streaming il tuo intervento in una trasmissione televisiva di alcuni giorni fa in cui hai dichiarato (a partire dal 26:01") "abbiamo spiegato tutte le variabili che ci possono essere con l'uscita dall'euro il ritorno alla nostra moneta e sotto questo punto di vista i risparmi italiani possono benissimo rimanere in euro".
E' sbagliato e la ragione è molto semplice.
A tutti i rapporti di credito e debito si applica la lex monetae, il diritto di uno Stato a scegliere la propria moneta quale strumento per la regolamentazione di tutti i rapporti economici interni che ricadono sotto la sua sovranità.
Questo significa che tutti i contratti nazionali vengono ridenominati nella nuova valuta.
Se i risparmi italiani (che lo ricordo sono debiti/passività per una banca) restassero denominati in euro, il sistema creditizio, già profondamente segnato dalle insolvenze prodotte dalla crisi, sarebbe inesorabilmente condannato al crack finanziario: la rivalutazione dell'euro rispetto alla nuova moneta (stimabile al 20%), produrrebbe un apprezzamento di pari valore del loro portafogli debiti; di conseguenza, le banche si troverebbero nell'impossibilità di rimborsare i loro risparmiatori/creditori in euro che si troverebbero in possesso di una moneta rivalutata.
Lo stesso meccanismo investirebbe, a cascata, tutti i titoli pubblici e privati (azionari, obbligazionari) con perdite significative a carico, rispettivamente, dello Stato, e delle imprese emittenti.
La conseguenza è che con la bancarotta del sistema, i risparmiatori in euro non otterrebbero più indietro i loro quattrini.
Anche ipotizzando una rimborsabilità limitata ai soli depositi inferiori ai 100 mila euro attraverso il fondo interbancario di tutela dei depositi (pari a complessivi 736 mld. di €), si metterebbe alle corde il nostro sistema bancario, non potendo più garantire quei depositi (392 mld. di €) che eccedendo il suddetto limite di garanzia sono coperti fino al massimo di tale soglia.
Se si esce dall'euro, caro di Maio, si esce tout-court convertendo TUTTI I CREDITI E I DEBITI.
Questo significa che tutti i debiti dei cittadini verso le banche (prestiti, mutui e finanziamenti), sia i debiti delle banche verso i loro clienti (quindi i depositi bancari).
I crediti dei risparmiatori dovranno essere riscossi obbligatoriamente nelle nuove lire, esattamente come i debiti dei clienti di una banca dovranno essere liquidati nelle nuove lire.
Se, per assurdo, un qualsiasi sgangherato governo "regalasse" alle banche "il diritto" di pretendere il rimborso dei mutui ancora in euro, le banche si troverebbero - presto - nell'impossibilità di riscuotere alcunchè.
Infatti, sarebbero i clienti costretti alla bancarotta perchè a seguito della rivalutazione dei portafogli crediti bancari (prestiti, mutui e finanziamenti costituiscono impieghi/attività per le banche), i mutuatari si troverebbero nell'impossibilità di rimborsare i loro debiti. Di qui altre pesanti sofferenze bancarie.
E' evidente che questo genere, ahimè sciagurato, di conversioni "parziali" finirebbe per incentivare e non certo impedire fenomeni di corse agli sportelli per il ritiro dei propri risparmi.
martedì 13 gennaio 2015
Referendum NoEuro: Una strada sbagliata per una Battaglia Giusta
Anche a Udine il movimento 5 Stelle ha fatto approdare la sua raccolta firme per proporre il referendum NoEuro.
A scanso di equivoci, chiarisco fin dall'inizio di questo post: benchè sia contro l'Euro, il referendum è la soluzione sbagliata.
Le motivazioni risiedono negli argomenti che sono stati esposti dal suo leader-fondatore, Beppe Grillo, che, ad un banchetto, ha dichiarato : "... è frutto di una iniziativa popolare, più democratico di così.. è una raccolta firme che porteremo in Parlamento e lo obbligheremo a discutere di questa legge popolare che ci darà modo di proporre un referendum per uscire dall'euro..." Grillo richiama l'episodio del referendum consultivo del 1989 sul conferimento del mandato costituente al Parlamento europeo, eletto in quella stessa circostanza, a cui si s'intese affidare il compito di redigere una Costituzione europea da sottoporre, poi, alla ratifica degli organi degli Stati membri.
Tralasciando la circostanza, tutt'altro che irrilevante, rappresentata - in quell'occasione - dalla richiesta - tuttora disattesa - di munire l'Unione di un Governo responsabile davanti al Parlamento, è bene ricordare la peculiarità di quel referendum: si trattò di un referendum consultivo, non previsto dalla nostra Costituzione, per il quale il Parlamento dovette approvare una legge costituzionale ad hoc (la n. 2 del 3 aprile '89) con la doppia lettura di ogni Camera e - alla seconda votazione - con l'approvazione a maggioranza assoluta.
Quindi, a norma dell'art. 71 della Costituzione, il movimento 5 stelle ha avviato un disegno di legge costituzionale, d'iniziativa popolare, un testo già scritto ed articolato che possa essere immediatamente discusso ed eventualmente approvato per giungere ad un referendum consultivo nel quale chiedere l'opinione dei cittadini per uscire dall'Euro e adottare una nuova moneta nazionale.
Ritengo doverosa questa precisazione perchè sgombra il campo da un equivoco che si era creato nei mesi scorsi attorno alle modalità tecniche da percorrere, data l'impossibilità di una soluzione immediatamente abrogativa, per effetto del divieto sancito dal secondo comma dell'art. 75 Cost..
Quali sono dunque i limiti di questa soluzione dei 5 stelle ?
1) Anzitutto la forma del referendum che, se da un lato ha il lodevole obiettivo di promuovere la partecipazione democratica dei cittadini cui era stata precedentemente negata ogni possibilità di discussione su un tema così rilevante, dall'altro disvela la sua inutile efficacia: non ha valore vincolante per il Parlamento a fare alcunchè.
Mi si dirà: " D'accordo, ma si tratta pur sempre dell'unica arma democratica che si dispone. Con questi politici, qualsiasi legge per uscire dall'Euro sarà ignorata come in passato, ma sarà sempre sempre un segnale forte che la gente non ne può più dell'euro a trazione tedesca. ".
Sì, ma a che prezzo ?
Il panico diffuso dagli organi d'informazione, ridotti a mera cassa di risonanza dei poteri forti dell'euro, incuterà terrore su larghi strati della popolazione, convincendola - come sta già accadendo - che fuori dall'euro sarà la catastrofe, non ci sarà futuro: la retorica dei pretesi disastri irreparabili cui andremmo incontro avrebbe un ruolo decisivo per il buon esito del procedimento.
Secondariamente, i tempi tecnici (sopra accennati) di realizzazione, ammesso e non concesso che attorno alla iniziativa dei 5 stelle possa coagularsi un consenso politico che oggi non s'intravvede, non si conciliano con i tempi di reazione dei mercati finanziari.
In assenza di limitazioni alla libera circolazione dei capitali, il semplice annuncio di uscita dall'euro
1. metterebbe in fuga i residui capitali ancora presenti e, soprattutto,
2. aprirebbe una speculazione selvaggia al ribasso sui titoli di stato italiano prezzati in euro che sconterebbero l'inevitabile svalutazione cui andrebbe incontro la nuova moneta.
Sarebbe dunque un'operazione pericolosissima, un massacro che metterebbe a serio repentaglio la tenuta (già debole) del nostro sistema bancario (compresi i depositi clienti) e, in particolar modo, i risparmi italiani ancora investiti nei titoli di stato italiano e che potete valutare voi stessi in questo grafico.
Abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni la fibrillazione dei mercati finanziari che, su ordini di grandezza significativamente inferiori (nel 2011 Deutsche Bank vendette appena una decina di miliardi di euro di tds italiani), scatenarono il caos sui nostri titoli, non avendo una banca nazionale che possa tamponare l'emorragia delle vendite, sostituendosi agli investitori esteri.
Mi spiace, la strada del referendum (giuridicamente legittima) è politicamente sbagliata, anzi pericolosissima.
A scanso di equivoci, chiarisco fin dall'inizio di questo post: benchè sia contro l'Euro, il referendum è la soluzione sbagliata.
Le motivazioni risiedono negli argomenti che sono stati esposti dal suo leader-fondatore, Beppe Grillo, che, ad un banchetto, ha dichiarato : "... è frutto di una iniziativa popolare, più democratico di così.. è una raccolta firme che porteremo in Parlamento e lo obbligheremo a discutere di questa legge popolare che ci darà modo di proporre un referendum per uscire dall'euro..." Grillo richiama l'episodio del referendum consultivo del 1989 sul conferimento del mandato costituente al Parlamento europeo, eletto in quella stessa circostanza, a cui si s'intese affidare il compito di redigere una Costituzione europea da sottoporre, poi, alla ratifica degli organi degli Stati membri.
Tralasciando la circostanza, tutt'altro che irrilevante, rappresentata - in quell'occasione - dalla richiesta - tuttora disattesa - di munire l'Unione di un Governo responsabile davanti al Parlamento, è bene ricordare la peculiarità di quel referendum: si trattò di un referendum consultivo, non previsto dalla nostra Costituzione, per il quale il Parlamento dovette approvare una legge costituzionale ad hoc (la n. 2 del 3 aprile '89) con la doppia lettura di ogni Camera e - alla seconda votazione - con l'approvazione a maggioranza assoluta.
Quindi, a norma dell'art. 71 della Costituzione, il movimento 5 stelle ha avviato un disegno di legge costituzionale, d'iniziativa popolare, un testo già scritto ed articolato che possa essere immediatamente discusso ed eventualmente approvato per giungere ad un referendum consultivo nel quale chiedere l'opinione dei cittadini per uscire dall'Euro e adottare una nuova moneta nazionale.
Ritengo doverosa questa precisazione perchè sgombra il campo da un equivoco che si era creato nei mesi scorsi attorno alle modalità tecniche da percorrere, data l'impossibilità di una soluzione immediatamente abrogativa, per effetto del divieto sancito dal secondo comma dell'art. 75 Cost..
Quali sono dunque i limiti di questa soluzione dei 5 stelle ?
1) Anzitutto la forma del referendum che, se da un lato ha il lodevole obiettivo di promuovere la partecipazione democratica dei cittadini cui era stata precedentemente negata ogni possibilità di discussione su un tema così rilevante, dall'altro disvela la sua inutile efficacia: non ha valore vincolante per il Parlamento a fare alcunchè.
Mi si dirà: " D'accordo, ma si tratta pur sempre dell'unica arma democratica che si dispone. Con questi politici, qualsiasi legge per uscire dall'Euro sarà ignorata come in passato, ma sarà sempre sempre un segnale forte che la gente non ne può più dell'euro a trazione tedesca. ".
Sì, ma a che prezzo ?
Il panico diffuso dagli organi d'informazione, ridotti a mera cassa di risonanza dei poteri forti dell'euro, incuterà terrore su larghi strati della popolazione, convincendola - come sta già accadendo - che fuori dall'euro sarà la catastrofe, non ci sarà futuro: la retorica dei pretesi disastri irreparabili cui andremmo incontro avrebbe un ruolo decisivo per il buon esito del procedimento.
Secondariamente, i tempi tecnici (sopra accennati) di realizzazione, ammesso e non concesso che attorno alla iniziativa dei 5 stelle possa coagularsi un consenso politico che oggi non s'intravvede, non si conciliano con i tempi di reazione dei mercati finanziari.
In assenza di limitazioni alla libera circolazione dei capitali, il semplice annuncio di uscita dall'euro
1. metterebbe in fuga i residui capitali ancora presenti e, soprattutto,
2. aprirebbe una speculazione selvaggia al ribasso sui titoli di stato italiano prezzati in euro che sconterebbero l'inevitabile svalutazione cui andrebbe incontro la nuova moneta.
Sarebbe dunque un'operazione pericolosissima, un massacro che metterebbe a serio repentaglio la tenuta (già debole) del nostro sistema bancario (compresi i depositi clienti) e, in particolar modo, i risparmi italiani ancora investiti nei titoli di stato italiano e che potete valutare voi stessi in questo grafico.
Abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni la fibrillazione dei mercati finanziari che, su ordini di grandezza significativamente inferiori (nel 2011 Deutsche Bank vendette appena una decina di miliardi di euro di tds italiani), scatenarono il caos sui nostri titoli, non avendo una banca nazionale che possa tamponare l'emorragia delle vendite, sostituendosi agli investitori esteri.
Mi spiace, la strada del referendum (giuridicamente legittima) è politicamente sbagliata, anzi pericolosissima.
venerdì 9 gennaio 2015
Le Cassandre Economiche e i Mass Media come le 3 Scimmiette
Si sono stratificate in questi anni le testimonianze di economisti che preannunciavano, come Cassandre, l' insostenibilità dell'unione monetaria: la coesistenza economica di paesi profondamente diversi (lo ricordo: un Nord Europa orientato alla stabilità dei prezzi contro un Sud Europa sospinto dall'esigenza di crescita occupazionale e dei redditi reali), avrebbe - presto o tardi - manifestato la sua insostenibilità, rappresentando una vera camicia di forza per le economie in crisi.
Spogliandosi dell'emissione e controllo della moneta (la c.d. sovranità monetaria), le politiche economiche ed industriali dei Paesi colpiti da crisi finanziaria sarebbero state fortemente penalizzate, non escludendosi il rischio di sospensione dei salari a dipendenti pubblici e pensionati proprio a causa della mancanza di moneta.
Ho richiamato, non a caso, l'espressione "camicia di forza" perchè impiegata (udite, udite) da Lorenzo Bini Smaghi (L'Euro, Il Mulino, Bologna, 2009, pag. 9), che sul canale web della Treccani s'è sperticato in una sequela impressionante di sciocchezze propagandistiche in merito all'asserita irreversibilità dell'euro. Ma a Bini Smaghi e consorte dedicherò un capitolo a parte.
Ora voglio proporre un collage di quelle Cassandre economiche che avevano preannunciato la catastrofe cui stiamo andando incontro come Continente e domandarmi (neanche tanto retoricamente) perchè sono rimasti inascoltati o se preferite perchè ancora oggi gli organi d'informazione preferiscano dare spazio a tromboni di turno, aruspici e attori da strapazzo capaci di recitare solo il ruolo delle tre scimmiette: non vedo, non sento e non guardo.
Dornbusch, economista MIT, ci aveva preannunciato che gli aggiustamenti del cambio, cui avremmo rinunciato aderendo all'Unione Monetaria si sarebbero trasferiti sul mercato del lavoro, producendo disoccupazione e recessione.
Feldstein ha criticato non solo la mancata formalizzazione di norme contenenti le modalità d'uscita dall'Eurozona di un Paese, ma ha altresì messo in luce l'obiettiva incompatibilità fra le aspirazioni francesi all'uguaglianza e quelle egemoniche tedesche.
Dominik Salvatore, consulente della Banca Mondiale e del Fondo Monetario, accanto alle parole richiamate qui accanto, ha specificatamente ricordato per l'Italia il nodo della svalutazione interna (ossia la riduzione dei salari), praticamente impossibile da praticare vista la debolezza strutturale del Paese.
Winnie Godley, capo dipartimento della Facoltà di Economia applicata dell'Università di Cambrdige, fu facile profeta nel prevedere i problemi dell'eurozona prodotti dalla carenza di politiche fiscali redistributive di risorse che rimpiazzassero la spoliazione della sovranità monetaria dei Paesi.
Anthony P. Thirwall, riallacciandosi al tema delle aree valutarie ottimali, ricorda come la moneta unica non sia - in alcun modo - nè fonte di convergenza reale delle nazioni europee, nè fonte di garanzia di piena circolazione dei fattori della produzione.
La mobilità del lavoro dipende, semmai, "dalle opportunità d'impiego, dai costi di trasporto, dalla disponibilità di abitazioni, dalle barriere linguistiche e non dal fatto che attraversando i confini nazionali si debba o no cambiare valuta".
La migrazione dei fattori della produzione matura dalle aree più depresse a quelle più prospere: tutte le regioni e le nazioni del mondo soggiacciono a forti forze centrifughe che rafforzano il più forte e indeboliscono il più de,bole che non dispone di "armi economiche" per fronteggiare la distruzione di capitali fissi, l'abbandono delle infrastrutture e flussi migratori dal Nord al Sud.
Ma Thirwall non si ferma qui: afferma l'antidemocraticità (undemocratic) della Moneta Unica, poichè la Banca Centrale Europea non ha alcuna responsabilità democratica (democratic accountability) e che quindi affida armi delicate come il tasso d'interesse ad "un gruppo di banchieri centrali non eletti" che decideranno "senza riguardo per le circostanze specifiche di ciascuna nazione".
Non c'è alcuna ragione - secondo Thirwall- per supporre la perfetta sincronizzazione dei cicli economici fra i diversi paesi tale da giustificare l'applicazione dello stesso tasso d'interesse per regolare il livello dell'attività economica o il tasso d'inflazione.
Ancor più raggelanti sono le sue considerazioni conclusive
"Gli individui all'interno degli stati nazionali aderenti alla moneta unica non potranno più decidere per loro stessi se desiderano che le loro economie si espandano o contraggano. I loro redditi, i prezzi dei loro prodotti, i prezzi delle loro case e i tassi dei loro mutu saranno decisi per loro. La privazione dei diritti civili conduce alla rivolta..."
Paul Krugman nel 1998 metteva in luce la coesistenza impossibile fra paesi spinti da esigenze opposte, rilevando l'ipocrisia ben mascherata dell'Unione monetaria ove tutti i paesi, in linea di principio, sono trattati allo stesso modo, ma in realtà soggiacciono all'egemonia tedesca : la Bundesbank fissa i tassi d'interesse a suo piacimento e le altre banche centrali sono costrette a mantenere le loro valute ancorate al marco tedesco.
L'economista Nicholas Kaldor (qui) sosteneva fin dal 1971 che l'adozione di un cambio fisso fra Paesi, cui viene demandata piena discrezionalità in materia fiscale, avrebbe determinato surplus e deficit commerciali per effetto dei quali, da un lato, si sarebbero trasferite le pressioni inflazionistiche e, dall'altro, i paesi in surplus sarebbero diventati finanziatori automatici ed in scala crescente.
Myrdal, propugnatore della teoria circolare cumulativa, asseriva che l'adozione di un'area valutaria comune non avrebbe fatto altro che acuire le divaricazioni di competitività fra i paesi, poichè gli Stati più forti approfitterebbero dei costi comparati di produzione sempre più bassi.
Questo squilibrio tende nel tempo ad inibire lo sviluppo dei paesi che crescono meno, perchè le variazioni dei salari monetari dei lavoratori di quei paesi non crescono così da compensare la differenza nei tassi d'incremento della produttività.
Uno studio specifico di Berger e Nitsch, per conto del FMI, ha documentato come l'introduzione dell'euro abbia aperto considerevolmente la questione degli squilibri commerciali, dovute
alle durevoli asimmetrie di competitività fra i vari Paesi e interne agli stessi, constatando come i paesi con disavanzi siano quelli caratterizzati dalla rigidità del lavoro.
Non posso però tralasciare in questa rassegna l'economista francese Francois Perroux che sulla rivsta dell'Ordine Economico appoggiata dal regime di Vichy in Francia nel dicembre del 1932 scriveva l'articolo intitolato "La moneta nell'economia europea organizzata":
"Bisogna riportare lo Stato a strumento che impone le leggi di mercato e quindi sottrargli anche qualsiasi tipo di controlloo sull'emissione monetaria.
Grazie a questo progetto che si realizzerà nel futuro, lo Stato democratico scomparirà.
Il poter sarà interamente detenuto da un direttorio di saggi e di tecnocrati senza alcun controllo da parte del popolo.
In questo modo creereano la società ideale ...Le risorse saranno concentrate nelle mani di quelle elites che saparnno imporre POVERTA' DI MASSA a tutta l'Europa.
Questo progetto porterà ad un crollo sociale, ma questo è lo scopo: fare in modo che la popolazione non viva più con fase speranze e con questi falsi diritti.
Una moneta unica per l'Europa toglierà agli stati il potere monetario, e questa una condizione essenziale per distruggerli, senza la capacità di emettere moneta lo stato perde la sua ragion d'essere".
Nonostante tutto questo, ancora oggi si procede con un dibattito criminale e terroristico finalizzato alla disinformazione e al panico delle persone, giocando al ruolo delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo.
Spogliandosi dell'emissione e controllo della moneta (la c.d. sovranità monetaria), le politiche economiche ed industriali dei Paesi colpiti da crisi finanziaria sarebbero state fortemente penalizzate, non escludendosi il rischio di sospensione dei salari a dipendenti pubblici e pensionati proprio a causa della mancanza di moneta.
Ho richiamato, non a caso, l'espressione "camicia di forza" perchè impiegata (udite, udite) da Lorenzo Bini Smaghi (L'Euro, Il Mulino, Bologna, 2009, pag. 9), che sul canale web della Treccani s'è sperticato in una sequela impressionante di sciocchezze propagandistiche in merito all'asserita irreversibilità dell'euro. Ma a Bini Smaghi e consorte dedicherò un capitolo a parte.
Ora voglio proporre un collage di quelle Cassandre economiche che avevano preannunciato la catastrofe cui stiamo andando incontro come Continente e domandarmi (neanche tanto retoricamente) perchè sono rimasti inascoltati o se preferite perchè ancora oggi gli organi d'informazione preferiscano dare spazio a tromboni di turno, aruspici e attori da strapazzo capaci di recitare solo il ruolo delle tre scimmiette: non vedo, non sento e non guardo.
Dornbusch, economista MIT, ci aveva preannunciato che gli aggiustamenti del cambio, cui avremmo rinunciato aderendo all'Unione Monetaria si sarebbero trasferiti sul mercato del lavoro, producendo disoccupazione e recessione.
Feldstein ha criticato non solo la mancata formalizzazione di norme contenenti le modalità d'uscita dall'Eurozona di un Paese, ma ha altresì messo in luce l'obiettiva incompatibilità fra le aspirazioni francesi all'uguaglianza e quelle egemoniche tedesche.
Dominik Salvatore, consulente della Banca Mondiale e del Fondo Monetario, accanto alle parole richiamate qui accanto, ha specificatamente ricordato per l'Italia il nodo della svalutazione interna (ossia la riduzione dei salari), praticamente impossibile da praticare vista la debolezza strutturale del Paese.
Winnie Godley, capo dipartimento della Facoltà di Economia applicata dell'Università di Cambrdige, fu facile profeta nel prevedere i problemi dell'eurozona prodotti dalla carenza di politiche fiscali redistributive di risorse che rimpiazzassero la spoliazione della sovranità monetaria dei Paesi.
Anthony P. Thirwall, riallacciandosi al tema delle aree valutarie ottimali, ricorda come la moneta unica non sia - in alcun modo - nè fonte di convergenza reale delle nazioni europee, nè fonte di garanzia di piena circolazione dei fattori della produzione.
La mobilità del lavoro dipende, semmai, "dalle opportunità d'impiego, dai costi di trasporto, dalla disponibilità di abitazioni, dalle barriere linguistiche e non dal fatto che attraversando i confini nazionali si debba o no cambiare valuta".
La migrazione dei fattori della produzione matura dalle aree più depresse a quelle più prospere: tutte le regioni e le nazioni del mondo soggiacciono a forti forze centrifughe che rafforzano il più forte e indeboliscono il più de,bole che non dispone di "armi economiche" per fronteggiare la distruzione di capitali fissi, l'abbandono delle infrastrutture e flussi migratori dal Nord al Sud.
Ma Thirwall non si ferma qui: afferma l'antidemocraticità (undemocratic) della Moneta Unica, poichè la Banca Centrale Europea non ha alcuna responsabilità democratica (democratic accountability) e che quindi affida armi delicate come il tasso d'interesse ad "un gruppo di banchieri centrali non eletti" che decideranno "senza riguardo per le circostanze specifiche di ciascuna nazione".
Non c'è alcuna ragione - secondo Thirwall- per supporre la perfetta sincronizzazione dei cicli economici fra i diversi paesi tale da giustificare l'applicazione dello stesso tasso d'interesse per regolare il livello dell'attività economica o il tasso d'inflazione.
Ancor più raggelanti sono le sue considerazioni conclusive
"Gli individui all'interno degli stati nazionali aderenti alla moneta unica non potranno più decidere per loro stessi se desiderano che le loro economie si espandano o contraggano. I loro redditi, i prezzi dei loro prodotti, i prezzi delle loro case e i tassi dei loro mutu saranno decisi per loro. La privazione dei diritti civili conduce alla rivolta..."
Paul Krugman nel 1998 metteva in luce la coesistenza impossibile fra paesi spinti da esigenze opposte, rilevando l'ipocrisia ben mascherata dell'Unione monetaria ove tutti i paesi, in linea di principio, sono trattati allo stesso modo, ma in realtà soggiacciono all'egemonia tedesca : la Bundesbank fissa i tassi d'interesse a suo piacimento e le altre banche centrali sono costrette a mantenere le loro valute ancorate al marco tedesco.
L'economista Nicholas Kaldor (qui) sosteneva fin dal 1971 che l'adozione di un cambio fisso fra Paesi, cui viene demandata piena discrezionalità in materia fiscale, avrebbe determinato surplus e deficit commerciali per effetto dei quali, da un lato, si sarebbero trasferite le pressioni inflazionistiche e, dall'altro, i paesi in surplus sarebbero diventati finanziatori automatici ed in scala crescente.
Myrdal, propugnatore della teoria circolare cumulativa, asseriva che l'adozione di un'area valutaria comune non avrebbe fatto altro che acuire le divaricazioni di competitività fra i paesi, poichè gli Stati più forti approfitterebbero dei costi comparati di produzione sempre più bassi.
Questo squilibrio tende nel tempo ad inibire lo sviluppo dei paesi che crescono meno, perchè le variazioni dei salari monetari dei lavoratori di quei paesi non crescono così da compensare la differenza nei tassi d'incremento della produttività.
Uno studio specifico di Berger e Nitsch, per conto del FMI, ha documentato come l'introduzione dell'euro abbia aperto considerevolmente la questione degli squilibri commerciali, dovute
alle durevoli asimmetrie di competitività fra i vari Paesi e interne agli stessi, constatando come i paesi con disavanzi siano quelli caratterizzati dalla rigidità del lavoro.
Non posso però tralasciare in questa rassegna l'economista francese Francois Perroux che sulla rivsta dell'Ordine Economico appoggiata dal regime di Vichy in Francia nel dicembre del 1932 scriveva l'articolo intitolato "La moneta nell'economia europea organizzata":
"Bisogna riportare lo Stato a strumento che impone le leggi di mercato e quindi sottrargli anche qualsiasi tipo di controlloo sull'emissione monetaria.
Grazie a questo progetto che si realizzerà nel futuro, lo Stato democratico scomparirà.
Il poter sarà interamente detenuto da un direttorio di saggi e di tecnocrati senza alcun controllo da parte del popolo.
In questo modo creereano la società ideale ...Le risorse saranno concentrate nelle mani di quelle elites che saparnno imporre POVERTA' DI MASSA a tutta l'Europa.
Questo progetto porterà ad un crollo sociale, ma questo è lo scopo: fare in modo che la popolazione non viva più con fase speranze e con questi falsi diritti.
Una moneta unica per l'Europa toglierà agli stati il potere monetario, e questa una condizione essenziale per distruggerli, senza la capacità di emettere moneta lo stato perde la sua ragion d'essere".
Nonostante tutto questo, ancora oggi si procede con un dibattito criminale e terroristico finalizzato alla disinformazione e al panico delle persone, giocando al ruolo delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo.
mercoledì 7 gennaio 2015
l' Euro è fonte di povertà: lectio magistralis del prof. Draghi
Al netto di ogni considerazione economica e giuridica, ora abbiamo la spudorata confessione: l'euro è uno strumento di povertà: i paesi che hanno perso la flessibilità del cambio con l'ingresso nell'Unione Monetaria hanno dovuto - giocoforza - compiere le svalutazioni interne (di retribuzioni e salari) per operare quegli aggiustamenti che avvenivanto attraverso i cambi.
A parlare è Mario Draghi, presidente BCE, durante un suo intervento-conferenza ad Helsinki: "Con la creazione dell'Unione Monetaria, gli Stati hanno perso solo una parte di quella flessibilità (assicurata dallo strumento del cambio mia nota) e dunque gli aggiustamenti devono avvenire per forza attraverso la svalutazione interna."
Perchè abbiamo bisogno degli aggiustamenti ? La risposta è con una nuova domanda: sarebbe immaginabile avere un'unione monetaria basata su creditori e debitori permanenti ?
Al momento attuale esistono unioni del genere: gli Stati Uniti per esempio, dove c'è uno stato l'Oklahoma, in permanente condizione debitoria ed lo stato di New York che invece è permanentemente in condizione creditoria.
Al livello in cui siamo di sviluppo politico, sarebbe realistico pensare che possa esistere, nel nostro caso, un unione simile ? La politica e l'integrazione economica qui sono strettamente connesse e quindi, a questo punto, non sarebbe realistico.
Così i paesi che sono stati debitori, dovranno gradualmente operare degli aggiustamenti.
L'azione politica all'interno di un'unione monetaria è molto diversa da quella che si potrebbe fare se i paesi fossero all'esterno di un'unione monetaria.
Negli anni precedenti alla crisi si sono avuti enormi trasferimenti verso paesi che semplicemente vivevano sul credito sia nel settore privato che in quello pubblico e questi hanno permesso due cose: il debito e i prezzi sono saliti: sono diventati non competitivi ed hanno finanziato questa progressiva perdita di competitività attraverso questi flussi di credito.
Ad un certo punto tutto questo è cambiato, ad un certo punto questo credito ha smesso di fluire, così sono stati costretti a diventare competitivi e hanno dovuto portare indietro i loro prezzi che erano saliti senza alcuna relazione con la produttività ad un livello nel quale questi paesi sarebbero tornati ad essere competitivi.
Questo è il tipo di aggiustamento che abbiamo.
Qual è la lezione che delinerei da questa esperienza ?
Dobbiamo essere molto attenti, in una unione monetaria, a non permettere che gli stipendi e i prezzi superino una certa linea. Dovremmo essere molto attenti nel mantenere questi paesi competitivi, nell'unione monetaria stessa anzitutto, e dovremmo essere molto attenti ad evitare che questi livelli sfuggano di mano perchè allora saremo puniti - in un certo senso - non solo dai mercati ma anche dal congelamento dei flussi finanziari che è quello che è avvenuto nella crisi."
In tre minuti il professor Draghi descrive con chiarezza disarmante il danno inferto dai governanti ai loro cittadini nel rinunciare alla manovra del cambio.
Con semplicità unica espone (e lo vedremo nel prossimo post che sto completando) quello che la letteratura economica scientifica più accreditata ha sempre dichiarato in tempi non sospetti: se si rinuncia alla leva del cambio si dovranno svalutare retribuzioni e salari e distruggere la domanda interna. Ed è quello che è stato fatto dal Governo Monti (confessione alla CNN).
Ma non basta: la chiave interpretativa della crisi che offre Draghi risiede nei flussi di credito privato piovuti a pioggia dal Nord Europa verso i paesi meridionali oggi in crisi e presso i quali, per effetto di questi flussi, era maturata una crescita artificiale di prezzi che hanno reso inevitabilmente meno competitivi i prodotti di quei paesi ora indebitati.
Quando il flusso di capitali si è interrotto si è iniziata la macelleria sociale. Il riequilibro delle posizioni creditorie/debitorie e la ripresa della competitività è avvenuta attraverso l'applicazione di politiche fiscali che comprimevano i livelli di consumi esteri.
E se ci fosse ancora qualcuno a negare pure l'evidenza si faccia pure avanti: apro volentieri il dibattito.
A parlare è Mario Draghi, presidente BCE, durante un suo intervento-conferenza ad Helsinki: "Con la creazione dell'Unione Monetaria, gli Stati hanno perso solo una parte di quella flessibilità (assicurata dallo strumento del cambio mia nota) e dunque gli aggiustamenti devono avvenire per forza attraverso la svalutazione interna."
Perchè abbiamo bisogno degli aggiustamenti ? La risposta è con una nuova domanda: sarebbe immaginabile avere un'unione monetaria basata su creditori e debitori permanenti ?
Al momento attuale esistono unioni del genere: gli Stati Uniti per esempio, dove c'è uno stato l'Oklahoma, in permanente condizione debitoria ed lo stato di New York che invece è permanentemente in condizione creditoria.
Al livello in cui siamo di sviluppo politico, sarebbe realistico pensare che possa esistere, nel nostro caso, un unione simile ? La politica e l'integrazione economica qui sono strettamente connesse e quindi, a questo punto, non sarebbe realistico.
Così i paesi che sono stati debitori, dovranno gradualmente operare degli aggiustamenti.
L'azione politica all'interno di un'unione monetaria è molto diversa da quella che si potrebbe fare se i paesi fossero all'esterno di un'unione monetaria.
Negli anni precedenti alla crisi si sono avuti enormi trasferimenti verso paesi che semplicemente vivevano sul credito sia nel settore privato che in quello pubblico e questi hanno permesso due cose: il debito e i prezzi sono saliti: sono diventati non competitivi ed hanno finanziato questa progressiva perdita di competitività attraverso questi flussi di credito.
Ad un certo punto tutto questo è cambiato, ad un certo punto questo credito ha smesso di fluire, così sono stati costretti a diventare competitivi e hanno dovuto portare indietro i loro prezzi che erano saliti senza alcuna relazione con la produttività ad un livello nel quale questi paesi sarebbero tornati ad essere competitivi.
Questo è il tipo di aggiustamento che abbiamo.
Qual è la lezione che delinerei da questa esperienza ?
Dobbiamo essere molto attenti, in una unione monetaria, a non permettere che gli stipendi e i prezzi superino una certa linea. Dovremmo essere molto attenti nel mantenere questi paesi competitivi, nell'unione monetaria stessa anzitutto, e dovremmo essere molto attenti ad evitare che questi livelli sfuggano di mano perchè allora saremo puniti - in un certo senso - non solo dai mercati ma anche dal congelamento dei flussi finanziari che è quello che è avvenuto nella crisi."
In tre minuti il professor Draghi descrive con chiarezza disarmante il danno inferto dai governanti ai loro cittadini nel rinunciare alla manovra del cambio.
Con semplicità unica espone (e lo vedremo nel prossimo post che sto completando) quello che la letteratura economica scientifica più accreditata ha sempre dichiarato in tempi non sospetti: se si rinuncia alla leva del cambio si dovranno svalutare retribuzioni e salari e distruggere la domanda interna. Ed è quello che è stato fatto dal Governo Monti (confessione alla CNN).
Ma non basta: la chiave interpretativa della crisi che offre Draghi risiede nei flussi di credito privato piovuti a pioggia dal Nord Europa verso i paesi meridionali oggi in crisi e presso i quali, per effetto di questi flussi, era maturata una crescita artificiale di prezzi che hanno reso inevitabilmente meno competitivi i prodotti di quei paesi ora indebitati.
Quando il flusso di capitali si è interrotto si è iniziata la macelleria sociale. Il riequilibro delle posizioni creditorie/debitorie e la ripresa della competitività è avvenuta attraverso l'applicazione di politiche fiscali che comprimevano i livelli di consumi esteri.
E se ci fosse ancora qualcuno a negare pure l'evidenza si faccia pure avanti: apro volentieri il dibattito.
sabato 3 gennaio 2015
Gli Investimenti Diretti Esteri secondo Il manuale Galli
Nei giorni scorsi, sulla timeline Twitter di Claudio Borghi, è emersa un'interessante conversazione sugli Investimenti Diretti Esteri (IDE): il link è questo .
Cosa sono esattamente gli investimenti diretti esteri in entrata ? Sono flussi di capitali provenienti da soggetti non residenti che puntano al controllo aziendale e/o alla gestione di attività produttive locali. Si distinguono dagli investimenti di portafoglio, che vengono invece fatti per esigenze di mera remunerazione della propria liquidità.
Non sono operazioni filantropiche, naturalmente: se l'imprenditore estero decide di investire i suoi capitali per rilevare un'azienda e/o assumerne il controllo lo fa perchè si ripromette di ricavarne profitti.
Tecnicamente, gli investimenti diretti esteri sono passività, debiti che saranno remunerati sotto forma di profitti, che usciranno dal Paese per entrare nelle tasche estere. Non si tratta di una mia fantasia: il capitolo sesto del manuale della bilancia dei pagamenti del FMI è esplicito in questo senso.
Un afflusso di capitali esteri è dunque un debito che, si badi, non rappresenta per forza un male.
Rappresentano, senz'altro, un volano di crescita nei Paesi economicamente arretrati: avere investimenti esteri significa beneficiare di tecnologie avanzate, con ricadute positive a livello occupazionale perchè si specializzano le maestranze locali che potranno, successivamente, mettersi in proprio.
Tuttavia, quando un Paese gode di competenze tecnologiche non trascurabili e di un significativo posizionamento sul mercato, con esposizioni debitorie già considerevoli, avere nuovi investimenti esteri significa
1) cedere marchi e tecnologie già consolidate
2) appesantire - inutilmente - la posizione debitoria a tassi d'interesse piuttosto onerosi.
Qui accanto trovate un piccolo collage dello shopping operato dagli investitori esteri di aziende italiane.
Quindi, in una fase recessiva, gli IDE non sono certo una priorità e, anzi, vanno stipulati con accortezza.
Il rischio è quello di trovarsi con una montagna di debito estero, invogliato ad investire in Italia solo perchè si è praticato dumping sociale (smantellamento dei diritti sociali e contenimento dei salari).
Queste banali considerazioni trovano puntuale riscontro nel dibattito maturato attorno all'art. 18, che non rientra nell'orizzonte o nei pensieri dei nostri imprenditori (consiglio questo articolo), ma che - ciò nondimeno - costituisce "priorità politica" dei nostri Governi, già a partire dal Governo Monti: ricordo che la Fornero ebbe occasione di manifestare la necessità di rilanciare gli investimenti esteri, la cui carenza fu motivata dalla pretesa rigidità in uscita (in parole povere: difficoltà a licenziare).
Una menzogna a guardare i dati OECD che documentano (nella fig.4 riprodotta qui accanto) la caduta delle protezioni dei lavoratori a tempo indeterminato in Italia, rispetto a Francia e Germania, iniziata a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, e la scarsa protezione - comparata a livello europeo - degli occupati in Italia GIA' NEL 2008 (dati OCSE).
L'indice di protezione contro i licenziamenti dei lavoratori permanenti elaborato dall'OCSE è da tempo inferiore a quello dei nostri partner europei.
Ancora più evidente è la riduzione dell'indice EPL per i lavoratori a tempo determinato dove l'Italia detiene il record: ha abbattuto più di tutti le protezioni.
E' di tutta evidenza come, in conclusione, la gestione degli investimenti diretti in entrata ricada nell'alveo della politica industriale di cui l'Italia non solo è profondamente carente, ma sia dettata dall'Europa, per esigenze di "cassa" necessarie a rifinanziare il saldo delle partite correnti.
Inutile dire che su twitter sia estremamente complesso articolare questo ragionamento, ma almeno il piacere di ricordare al Sen. Galli la definzione IDE me la sono tolta. A voi lascio il piacere di "godervi" la conversazione fra Borghi e il deputato pd Galli, economista alla Banca d'Italia, dg di Confindustria (qui il suo curricula), in attesa (perchè no ?) di una nuova copia autografa del nuovo manuale sulla contabilità dello Stato ;).
Cosa sono esattamente gli investimenti diretti esteri in entrata ? Sono flussi di capitali provenienti da soggetti non residenti che puntano al controllo aziendale e/o alla gestione di attività produttive locali. Si distinguono dagli investimenti di portafoglio, che vengono invece fatti per esigenze di mera remunerazione della propria liquidità.
Non sono operazioni filantropiche, naturalmente: se l'imprenditore estero decide di investire i suoi capitali per rilevare un'azienda e/o assumerne il controllo lo fa perchè si ripromette di ricavarne profitti.
Tecnicamente, gli investimenti diretti esteri sono passività, debiti che saranno remunerati sotto forma di profitti, che usciranno dal Paese per entrare nelle tasche estere. Non si tratta di una mia fantasia: il capitolo sesto del manuale della bilancia dei pagamenti del FMI è esplicito in questo senso.
Un afflusso di capitali esteri è dunque un debito che, si badi, non rappresenta per forza un male.
Rappresentano, senz'altro, un volano di crescita nei Paesi economicamente arretrati: avere investimenti esteri significa beneficiare di tecnologie avanzate, con ricadute positive a livello occupazionale perchè si specializzano le maestranze locali che potranno, successivamente, mettersi in proprio.
Tuttavia, quando un Paese gode di competenze tecnologiche non trascurabili e di un significativo posizionamento sul mercato, con esposizioni debitorie già considerevoli, avere nuovi investimenti esteri significa
1) cedere marchi e tecnologie già consolidate
2) appesantire - inutilmente - la posizione debitoria a tassi d'interesse piuttosto onerosi.
Qui accanto trovate un piccolo collage dello shopping operato dagli investitori esteri di aziende italiane.
Quindi, in una fase recessiva, gli IDE non sono certo una priorità e, anzi, vanno stipulati con accortezza.
Il rischio è quello di trovarsi con una montagna di debito estero, invogliato ad investire in Italia solo perchè si è praticato dumping sociale (smantellamento dei diritti sociali e contenimento dei salari).
Queste banali considerazioni trovano puntuale riscontro nel dibattito maturato attorno all'art. 18, che non rientra nell'orizzonte o nei pensieri dei nostri imprenditori (consiglio questo articolo), ma che - ciò nondimeno - costituisce "priorità politica" dei nostri Governi, già a partire dal Governo Monti: ricordo che la Fornero ebbe occasione di manifestare la necessità di rilanciare gli investimenti esteri, la cui carenza fu motivata dalla pretesa rigidità in uscita (in parole povere: difficoltà a licenziare).
Una menzogna a guardare i dati OECD che documentano (nella fig.4 riprodotta qui accanto) la caduta delle protezioni dei lavoratori a tempo indeterminato in Italia, rispetto a Francia e Germania, iniziata a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, e la scarsa protezione - comparata a livello europeo - degli occupati in Italia GIA' NEL 2008 (dati OCSE).
L'indice di protezione contro i licenziamenti dei lavoratori permanenti elaborato dall'OCSE è da tempo inferiore a quello dei nostri partner europei.
Ancora più evidente è la riduzione dell'indice EPL per i lavoratori a tempo determinato dove l'Italia detiene il record: ha abbattuto più di tutti le protezioni.
E' di tutta evidenza come, in conclusione, la gestione degli investimenti diretti in entrata ricada nell'alveo della politica industriale di cui l'Italia non solo è profondamente carente, ma sia dettata dall'Europa, per esigenze di "cassa" necessarie a rifinanziare il saldo delle partite correnti.
Inutile dire che su twitter sia estremamente complesso articolare questo ragionamento, ma almeno il piacere di ricordare al Sen. Galli la definzione IDE me la sono tolta. A voi lascio il piacere di "godervi" la conversazione fra Borghi e il deputato pd Galli, economista alla Banca d'Italia, dg di Confindustria (qui il suo curricula), in attesa (perchè no ?) di una nuova copia autografa del nuovo manuale sulla contabilità dello Stato ;).
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