Già il 21 settembre scorso, Bootle, amministratore delegato di Capital Economics, aveva dichiarato sul Telegraph: "L'opzione radicale per l'Italia è lasciare l'Euro permettendo alla valuta di indebolirsi e generare un boom di esportazioni, un'inflazione più alta, maggiore gettito fiscale ed un onere del debito più sostenibile ... questa è l'unica strada percorribile".
Ripropongo il suo articolo che trovo di grande attualità.
Nessun paese meglio dell'Italia incarna il malessere economico europeo in corso. Spesso si dice che l'Italia non possa finire in disgrazia perchè è un paese ricco di bellezze naturali, paesaggistiche, culturali, con città splendide, cibo e vini meravigliosi e uno stile di vita meraviglioso, Ciò nonostante è un paese che non funziona.
Alcuni problemi sono secolari, altri più recenti. Da un contesto di povertà precedente il periodo bellico, l'Italia, negli anni '50 e '60 conobbe una crescita disomogenea ed una crescita dei livelli industrializzazione e di PIL molto rapidi, tanto che nel 1979 l'Italia superò il Regno Unito.
Ai livelli di inflazione sostenuta si accompagnava una moneta debole che garantiva livelli di crescita dell'economia. Poi tutto è iniziato ad andare male. Il Regno Unito ha superato l'Italia nel 1995 e da allora il divario fra le due economie si è acuito.
Se allarghiamo l'orizzonte d'analisi osserviamo che tutti i paesi del G7, fatti salvi Italia e Giappone, hanno superato il livelli di crescita del PIL che godevano prima della Grande Recessione. Il Canada ha più 9 punti sopra del livello del 2008, mentre quello italiano è ancora di nove punti sotto. Vieppiù l'economia si sta contraendo.
Non si tratta di un fulmine a ciel sereno. Da quando l'euro è stato costituito nel 1999,
il tasso di crescita medio annuo dell'economia italiana è stata di appena lo 0.3% - in altre parole, quasi nulla.
Intendiamoci, la causa non è interamente imputabile all'euro. C'è un disperato bisogno di riforme, il sistema politico sembra incapace di fornire ciò che è
necessario e l'Italia è stata uno dei primi malati della crescita
dei mercati emergenti.
Mentre la
Germania produce beni ad alta specializzazione, grandi beni di consumo durevoli e
macchinari, l'Italia si è specializzata su una gamma più bassa di beni
di consumo, a media specializzazione che la Cina e altri Paesi sono andati a produrre
più a buon mercato.
L'Euro, di certo, non ha aiutato perchè, fin da subito, i costi italiani hanno continuato a crescere più rapidamente di quanto accadeva in Germania e nel centro Europa. Questa volta, pero, non c'è stata alcuna possibilità d'intervento sul tasso di cambio e così costi e prezzi italiani sono rimasti a "bocca asciutta".
Certo, il tasso d'inflazione è sceso drasticamente ed ora è leggermente su territorio negativo (a settembre 2014 l'inflazione era infatti a -0,19% nds), Questo dato non sorprende dato che il tasso di disoccupazione raggiunge la soglia del 12,6%.
A differenza di altri paesi periferici, l'Italia non ha fatto molto per ridurre il divario di competitività ed è prevedibile con l'elevata disoccupazione che le retribuzioni ed altri costi inizieranno a calare significativamente, come accaduto in Spagna, Grecia e Irlanda. Ma se questo accadrà, per rendere i prodotti italiani più competitivi, peggiorerà anche il debito italiano.
Il vero problema finanziario risiede infatti nello stock di debito che, in rapporto al PIL, è aumentato attestandosi a circa il 130%.
Se l'economia ristagna e i prezzi scendono, inevitabilmente il PIL nominale cala peggiorando il rapporto debito/PIL, il che avverrebbe anche se il bilancio, in equilibrio, fosse in grado di arrestare la crescita del debito.
L'Italia è oggi molto vicino alla situazione che molti economisti chiamano "trappola del debito" che si verifica quando il rapporto del debito aumenta in modo esponenziale.
In questo scenario, l'unica via di fuga è maggiore inflazione o default. Non avendo la gestione di una valuta autonoma, l'Italia è in corsa per un default sovrano.
Spesso si afferma che si tratti di una eventualità impossibile perché gli italiani hanno un alto tasso di risparmio personale e quindi ci sarebbero comunque i fondi per garantire il debito. Si sostiene inoltre che l'Italia, a differenza di Portogallo e Grecia, ha una posizione estera comunque sostenibile con le passività (verso gli stranieri) del 30% del PIL. Ciò significa che il debito italiano è principalmente domestico.
La circostanza che l'Italia non sia un grande debitore su esteo riduce sensibilmente i rischi di una crisi di debito internazionale, che periodicamente colpiscono i mercati emergenti.
Ma ciò non significa sventare una crisi fiscale. Il fatto che gli italiani abbiano un elevato risparmio non garantisce il volontario acquisto di titoli di Stato e l'insostenibilità delle finanze pubbliche implica che ad un certo punto il default sia inevitabile.
Il debito greco ha dimostrato di poter essere ristrutturato senza grandi scossoni del sistema finanziario. Questo perché la Grecia è piccola, ma l'Italia no.
Il mercato italiano dei titoli di Stato è il terzo più grande al mondo dopo quello di Stati Uniti e Giappone. Principalmente sono le banche italiane a detenere grandi stock di debito italiano, sicchè una crisi del debito potrebbe trasformarsi in una crisi bancaria.
Guardando ai tassi d'interesse dei bund tedeschi, i mercati sono ben felici di investire a 10 anni al 2,4% contro l'1,3% del rendimento tedesco. La peculiarità dei mercati è quella di mutare il proprio umore in un batter d'occhio e di passare rapidamente dalla spensieratezza al panico.
Come uscire da tutto questo ? I problemi strutturali non si risolveranno certo in una notte. Il paese necessita di radicali riforme del sistema politico, del suo sistema giudiziario, fiscale e sul tema del lavoro.
Anche se l'Italia risolvesse tutto questo, sarebbe ancora impantanata sulla questione del debito pubblico.
Come il resto della zona euro, ciò di cui l'Italia ha ora più bisogno è di crescita economica, che verosimilmente potrà realizzarsi attraverso un'azione congiunta audace della BCE/Germania ed un allentamento fiscale
Ma non si può neppure contare su questa eventualità.
L'opzione radicale per l'Italia è abbandonare l'euro e permettere, attraverso una valuta debole, di generare una ripresa delle esportazioni, maggiore inflazione, un recupero del getttito fiscale ed una maggiore sostenibilità dell'onere del debito. Mi chiedo ancora quanti anni sprecherà l'Italia prima che fra i suoi dirigenti prenda consapevolezza che questa è l'unica strada percorribile.