Parlando di Eurozona, emerge anche la Questione Tedesca, nel momento in cui la Germania pretende dagli altri il rispetto di quelle regole che lei per prima non ha rispettato. Si tratta di un metodo pericoloso che alla lunga può innescare conseguenze imprevedebili.
Procediamo con ordine, partendo anzitutto dall' assurdità della regola del 3% (il c.d. Patto di Stabilità) nel rapporto tra il saldo del bilancio pubblico e PIL nei paesi dell'EZ su cui, in questi giorni, Angela Merkel sta aprendo alla possibilita di interpretazioni meno rigide.
Negli anni a cavallo fra il 2002 e il 2003, la Germania - per far fronte alla crescente disoccupazione che aveva raggiunto quasi il 10% - ha avviato un'importante piano di riforma del mercato del lavoro (meglio nota con l'etichetta delle " Riforme Hartz" ) attraverso un aumento di spesa pubblica pari a circa 120 miliardi di Euro, di cui più di 90 furono impegnati in politiche di sostegno all'economia, attraverso sussidi alle imprese.
Una riforma che, è bene ricordare grazie all'intervista di Dierk Hiershel capo del sindacato dei Ver.di. pubblicata qui, si è realizzata attraverso un "magico gioco di prestigio": dal 2000 ad oggi sono stati smantellati 1,5 milioni di posti di lavoro a tempo indeterminato e "ricreati" 3 milioni di lavori part-time. Uno spezzatino per effetto del quale oggi in Germania
- non si lavora più di quanto si facesse 13 anni fa (per il report rinvio qui),
- si può lavorare anche per meno di 15 ore settimanali,
- senza contributi previdenziali, nè assistenza sanitaria e
- con una retribuzione non superiore a 400 Euro.
L'accelerazione verso queste forme di lavoro atipico, che ha dato vita a quasi 5 milioni di mini-job (qui trovate il riferimento) , è trascesa - in alcuni casi estremi - in una vera e propria legalizzazione del lavoro nero, poichè il datore di lavoro licenziava il suo lavoratore a tempo indeterminato e, contemporaneamente lo riassumeva con 2, anche 3 mini-job senza versamento dei contributi previdenziali (poi ci si chiede perchè i costi del lavoro sono diversi ?!): è il caso della catena di drogherie Schleckler accusata di dumping salariale in Germania dal sindacato dei Ver.di e successivamente fallita (anche per la rinuncia a dette pratiche), mettendo a repentaglio 24.000 posti di lavoro.
Questa riforma, che oggi viene oggi invocata finanche dalla BCE, ha
- favorito la crescita dell'export tedesco (che ha registrato + 10% nel triennio immediatamente successivo all'ingresso della riforma Hartz IV),
- inevitabilmente ridotto i salari reali tedeschi del 6% e
- migliorato la competitività tedesca che, storicamente, gode di di una potente ed articolato apparato industriale, capace di generare surplus strutturali anche con un'eventuale crescita della domanda interna che si baserebbe sia pure parzialmente sulla crescita degli investimenti.
Che cosa è accaduto allora in Germania e dintorni ? Semplice: hanno migliorato la competitività (che significa aumentato le vendite su estero e la produttività), attraverso una riduzione dei salari e dei CLUP (costi del lavoro per ogni unità di prodotto, cui hanno espunto contributi pensionistici, TFR, giusto per intenderci).
In termini più sintetici, ha realizzato una svalutazione interna, reale, competitiva. Ma non finisce qua perchè nel paese che viene dipinto come modello da imitare, secondo il numero 1 dell'Euro Tower, accanto ai mini-job, si affianca un'altra categoria di lavoratori irregolari cui attinge la GroBe Deutschland: sono quelli della Germania Est, ove il reddito medio di una famiglia è ancora oggi di oltre il 50% inferiore a quello di una famiglia dell'Ovest (i dati sono qui).
Di qui i tasselli di un mosaico che possiamo comporre assieme: da una parte gli afflussi di capitale "generosamente" affluiti dal Nord Europa verso la periferia che ne ha drogato la crescita e i consumi interni (me ne sono occupato qui); dall'altro, il grande serabatoio di manodopera tedesca reperibile a buon mercato. Ecco il cocktail micidiale che ha causato gli squilibri e la crisi nell'Eurozona.
Queste considerazioni trovano l'avallo dell'ILO, l'International Labour Office delle Nazioni Unite (nel Box 4, pag. 45 qui) che individua nella crescente competitività tedesca (originata dalla caduta dei costi unitari del lavoro in Germania) la causa strutturale della crisi dell'EZ, avendo messo sotto pressione le economie degli altri paesi che non hanno potuto supplire alla crisi del mercato interno con un aumento di esportazioni poichè non hanno beneficiato di una più forte domanda aggregata in Germania.
A tale riguardo è significativa l'intervista, pubblicata dal CorSera, a Roland Berger, consulente del governo Merkel, il quale ha dichiarato che le riduzioni salariali ai lavoratori tedeschi hanno comportato la riduzione del 18% dei prezzi dei prodotti; ed è ovvio che riducendosi il livello generale dei prezzi si sia ridotta l'inflazione che, collocandosi al di sotto di quella degli altri partners europei, ha permesso di generare quei saldi commerciali netti, quindi profitti e quindi quei crediti che sono stati prestati ai paesi dell'Europa del Sud.
Questi sono i dati nudi e crudi, documentati con le analisi ufficiali e sfido ora chiunque a dimostrare il contrario.
A tale riguardo è significativa l'intervista, pubblicata dal CorSera, a Roland Berger, consulente del governo Merkel, il quale ha dichiarato che le riduzioni salariali ai lavoratori tedeschi hanno comportato la riduzione del 18% dei prezzi dei prodotti; ed è ovvio che riducendosi il livello generale dei prezzi si sia ridotta l'inflazione che, collocandosi al di sotto di quella degli altri partners europei, ha permesso di generare quei saldi commerciali netti, quindi profitti e quindi quei crediti che sono stati prestati ai paesi dell'Europa del Sud.
Questi sono i dati nudi e crudi, documentati con le analisi ufficiali e sfido ora chiunque a dimostrare il contrario.
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